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Il mio viaggio, primi approcci alla Corea

Experience è il luogo dove puoi entrare in contatto con le esperienze di vita vera vissuta in Corea. Hoseky racconta a Kotalia le sue difficoltà e disavventure in un Paese che ancora conosceva molto poco, ma che le hanno permesso di scoprire un popolo gentile e organizzato… venite a scoprirne di più

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Fino a qualche anno fa non sapevo nulla della Corea e non nutrivo particolare curiosità verso questo Paese tanto da volerci andare. Poi, complice i primi K-drama e i gruppi K-pop, ho iniziato a documentarmi su questa nazione, sulla sua storia e sulla sua cultura. Per molti versi la mia voglia di sapere restava incompleta e insoddisfatta, perché le notizie riguardanti la storia e la cultura erano relativamente difficili da reperire su Internet, e anche i libri erano e sono tuttora pochissimi e non sempre tradotti in italiano. Ho quindi iniziato a cercare, attraverso i social e vari siti, persone coreane con cui confrontarmi. All’inizio faticavo a ottenere risposte esaustive, ma poi ho avuto modo di conoscere un uomo, che mi ha confermato quello che da tempo sospettavo. Ho così scoperto che spesso le informazioni che circolano su Internet e raccontano della storia e della cultura di questo popolo non riportano in modo totale e veritiero quella che è la “vera” storia; spesso chi firma articoli, riviste o libri si lascia fuorviare dalle inesattezze che si sono trasmesse nel corso del tempo e che contribuiscono a portare avanti errate informazioni che in qualche modo danneggiano l’identità dei coreani. Questo popolo tuttora lotta perché la verità venga detta e la Corea possa finalmente avere non solo giustizia, ma anche vedere affermata la propria identità.
Più venivo a conoscenza dei fatti dalla voce diretta di un coreano più cresceva in me il desiderio di andare in Corea. Così nel 2018 mi sono organizzata con un’amica e abbiamo pianificato il viaggio, anche se alla fine mi sono ritrovata da sola. Non avendo mai viaggiato, il mio è stato un vero salto nel buio e cercare di capire cosa effettivamente mi serviva è stato in sé una piccola avventura.
Un’avventura che ricordo ancora come fosse oggi…

IL MIO VIAGGIO
credit foto hoseky73

Faccio il passaporto e nel frattempo risparmio soldi per il viaggio e prendo informazioni. Contatto l’ambasciata italiana in Corea e chiedo quali documentazioni e vaccinazioni siano richieste e se occorra o meno un visto. Ottenute le informazioni che sono arrivate immediatamente, prenoto il volo e il 15 ottobre del 2018 prendo per la prima volta un aereo e mi faccio un viaggio lungo undici ore e mezza.
C’è, però, un problema. Il mio telefono si rompe poco prima della partenza e perdo tutto quello che ho al suo interno, compreso il contatto del mio unico appoggio e conoscenza. Non ho memorizzato il suo numero da nessun’altra parte e non ho più modo di contattarlo, perché finora siamo rimasti in contatto prettamente usando un’App che si chiama LINE e che è l’equivalente del nostro WhatsApp.

In Corea usano maggiormente Line e Kakao Talk. Line app non è come WhatsApp, che aggiunge le persone attraverso il numero telefonico. Line lo fa attraverso un ID identificativo e l’utente può scegliere se rendere o meno disponibile il proprio numero. Spesso per proteggersi i più scelgono di usare solo ID.

Nonostante questo inconveniente, decido comunque di partire, sperando che lui, pur non avendo più avuto mie notizie, possa comunque venire a controllare in aeroporto, visto che conosce data e orario del mio volo.

L’INIZIO DELLA MIA DISAVVENTURA

Il giorno della partenza finalmente arriva e, quando manca mezz’ora all’atterraggio, ci viene distribuita la carta del passeggero che va compilata e lì mi accorgo di essere nei guai e che il mio viaggio potrebbe finire ancora prima che inizi. Fermo la hostess che passa a ritirare il documento e le espongo il mio problema: non ho un alloggio di destinazione perché il mio contatto non è riuscito a trasmettermi i dati della prenotazione e non ho il suo numero. La giovane, molto gentile, ascolta con attenzione, mi aiuta a compilare il documento e mi consiglia come comportarmi all’arrivo durante i controlli aeroportuali.

Vengo invitata a salire negli uffici dell’immigrazione, dove, dopo avere spiegato il mio problema e aver fatto ulteriori verifiche di controllo con i miei documenti, ottengo il permesso di entrare nel Paese, ma, siccome non ho modo di contattare il mio amico coreano, mi impongono di non lasciare Icheon e di soggiornare preferibilmente vicino all’aeroporto. Naturalmente non posso prendere un altro aereo per andare a Ulsan; per la mia sicurezza mi chiedono di non spostarmi troppo, in fondo devo considerarmi fortunata se non mi rispediscono immediatamente a casa. Tutto questo procedimento di controlli dura due ore e mezza che, sommati alle ore di viaggio, iniziano a pesare sia dal punto fisico che emotivo.

Questa difficoltà mi porta a riflettere come di fronte al mio problema non mi sia mai sentita giudicata; sono stati gentili, pazienti, comprensivi e hanno valutato bene tutto, cosa che spesso e volentieri in Italia non accade

Dopo avere ottenuto il via libera, vado a ritirare il bagaglio consapevole che probabilmente, dopo due ore e mezza, se anche il mio amico fosse venuto a cercarmi, non vedendomi uscire, se ne sarebbe di sicuro andato via. Tuttavia non perdo la speranza e varco la soglia che mi fa entrare veramente sul suolo coreano.

L’aeroporto di Incheon è così grande che sembra una città dentro la città!

Mi faccio forza e decido che la cosa migliore da fare è quella di scambiare un po’ di moneta contanti. Mi guardo in giro nella speranza che lui sia tra la folla ma nulla, allora mi rivolgo al punto informazioni e, dopo avere spiegato nuovamente la mia situazione, chiedo se possono fare un annuncio e chiamarlo. Decido di aspettare per un’altra ora e mezza, ma poi la sera si fa vicina e io non ho un alloggio, sono sola e non conosco il posto. Attraverso le strisce pedonali per raggiungere l’area dei taxi, quando un ragazzo alto con indosso uniforme e badge mi raggiunge sorridendo. Mi chiede se devo prendere un taxi e dove sono diretta. Gli spiego la mia situazione e il bisogno di trovare un hotel vicino all’aeroporto che non sia troppo caro; lui dice che ha un posto che fa al mio caso e, dopo avere fatto un cenno a un taxi nero di venire avanti, spiega all’autista in coreano dove mi deve portare. Ho un lieve mancamento e il ragazzo se ne accorge tanto che prontamente mi sorregge e, dopo essersi assicurato che io stia bene, mi aiuta a salire sul veicolo; si assicura che il mio bagaglio venga caricato e, dopo avermi sorriso e augurato buona permanenza, mi dice di non preoccuparmi che starò bene e mi augura buona fortuna per tutto. Sarà perché in questo momento sento bisogno di parole confortanti e di un sorriso, ma mentre l’auto parte io continuo a guardare quel giovane così gentile e premuroso che continua a sorridermi e farmi ok e salutarmi con inchino e mano, e questo in qualche modo mi dà la forza per non crollare del tutto. Asciugo le lacrime che finora ho trattenuto e mi ricompongo, non è certo quello il momento di lasciarmi andare. Mi accorgo che il mio pianto ha attirato l’attenzione dell’autista che, dallo specchietto retrovisore, mi osserva preoccupato; sorrido timida e chiedo scusa, lui scuote la testa e mi sorride a sua volta con fare rassicurante; è evidente che non conosce l’inglese e quindi l’unica parola che mi dice è ok, ma anche così sento la sua empatia e sincerità e gli sono grata.

Icheon tri-bowl quartiere degli affari. Credit foto Gyun
L’ARRIVO IN HOTEL

Il taxi mi porta al Day’s Hotel & Suites. Raggiungo il bancone all’ingresso ma non c’è nessuno; attendo ma nulla, mi guardo attorno quando finalmente un uomo sulla cinquantina mi dice che per fare il check-in devo recarmi ai piani superiori con l’ascensore. Ringrazio e quando arrivo al piano mi trovo all’entrata dell’hotel e mi dirigo subito alla reception.

Qui arriva il terzo inconveniente di questo viaggio che fin dalla sua organizzazione è partito con il piede sbagliato. Nonostante tutto, il posto mi piace e c’è molto da vedere senza che io mi debba spostare tanto, questo è quello che penso, quindi alla fine anche se non posso incontrarmi con il mio contatto e sono sola mi rassicuro che posso comunque godermi la prima esperienza all’estero. Decido quindi di pagare per i quindici giorni della mia permanenza, ma quando consegno la mia carta di credito mi viene detto che il pagamento non parte. Impallidisco e mi chiedo come sia possibile, visto che ci sono 2.500 euro sul conto. Il giovane, che è alla reception e che sta seguendo il mio check-in, si accorge della mia espressione di panico e subito mi rassicura. Riprova una seconda volta ma non funziona e mi spiega che forse non parte il pagamento perché ci sono sette ore di differenza di orario tra Italia e Corea, pertanto, potrebbe essere per me possibile accedere al servizio bancario solo il giorno dopo. Mi conferma che possiamo fare lo stesso il check-in per una notte e riprovare l’indomani. Se tante volte non dovesse funzionare, mi consiglia di contattare la mia banca per capire il motivo.

Mi spiega che spesso certe carte di credito non funzionano, soprattutto se sono banche italiane, ma che comunque posso sempre prelevare a un servizio bancomat.

Mi sento a disagio: e se la mia carta non funzionasse neppure con il bancomat? Sono così stanca e alla fine accetto di rimandare a domani il tutto, mi viene in mente di avere del contante e pago la prima notte con quello.

Ancora una volta mi stupisco di come mi abbiano aiutata a venire fuori da una situazione di difficoltà e di come ancora una volta non abbia dovuto fare i conti con pregiudizi o sospetti, ma solo tanta cortesia per mettermi a mio agio e tranquillizzarmi. Ancora una volta non posso fare a meno di confrontare il mio paese con la Corea e trovarmi a pensare che probabilmente in Italia non avrei trovato la stessa comprensione e gentilezza.

LA MIA STANZA
credit foto: canva premium

Una volta raggiunta la camera entro e, per un quarto d’ora, resto immobile sulla soglia esausta e incapace di pensare; poi i bisogni fisiologici mi riportano alla realtà e, dopo avere spinto la valigia in stanza, la apro e tiro fuori la biancheria pulita e i vestiti comodi. Nel bagno vivo una piccola parentesi divertente. In Italia abbiamo la classica tazza del water in ceramica con il coperchio e ciambella in plastica, in Corea hanno la tazza del water con ciambella di un materiale di plastica morbida e riscaldata; di fatto, abituata a sedermi sul freddo, al contatto con il caldo volo letteralmente via per la sorpresa, così scopro che non solo la tazza è riscaldata ma munita di una pulsantiera laterale. Noi abbiamo il bidè per lavarci certe zone delicate e intime, loro fanno tutto con la tazza del water elettronica. Ora provate a immaginare una donna di quarantacinque anni che gioca nuda con la pulsantiera della tazza water e ne scopre le funzioni esattamente come farebbe un bambino e avrete lo scatto perfetto di questo momento solenne. Soddisfatta della mia scoperta, dopo aver riso di me stessa, mi faccio una bella doccia e, una volta sistemata, mi getto nel letto.

Ma non riesco a dormire, nonostante la stanchezza, così, dopo ore passate a rigirarmi nel letto, mi collego telefonicamente con mia madre prima e la banca dopo. La banca mi conferma che ho disponibilità, il problema è probabilmente l’incompatibilità di orario e comunicazione fra le banche, pertanto mi consigliano di andare in un bancomat a prelevare. Il giorno seguente mi vesto ma è troppo tardi per la colazione e troppo presto per il pranzo, inoltre ho lo stomaco sottosopra e finché non riesco a prelevare i soldi non mi sento tranquilla, perciò mi reco nella zona indicatami ma la trovo chiusa.

Scopro che fino alle nove del mattino in Corea è tutto chiuso; I bancomat in Corea non sono disponibili 24 su 24 come da noi, ma seguono gli orari di apertura e chiusura dell’istituto bancario.

Ad ogni modo al mio secondo tentativo mi trovo di nuovo in difficoltà, il bancomat è tutto in lingua coreana e non ho idea di cosa digitare per potere accedere al servizio di prelievo; mi guardo attorno quando un impiegato si accorge di me dall’interno e viene fuori in mio aiuto. Ancora una volta vengo aiutata senza esitazione, il giovane mi dice che, se dovessi avere bisogno di fare altri prelievi, di tornare e lui mi avrebbe aiutato.

credit foto Gyun

Ora che ho 2000 won che corrispondono più o meno ai nostri 400 euro, torno in hotel e decido di fermare la stanza per altri tre giorni; il fatto che ogni volta devo ricorrere al prelievo con il bancomat mi preoccupa, e decido quindi di valutare bene nei giorni per cui ho fermato la stanza cosa fare. Ma quei primi tre giorni in Corea non sono stati ben spesi: il jet lag mi ha stesa a tal punto che non riesco né a mangiare né a fare altro, e quindi passo il tempo nella mia stanza. Al terzo giorno più in forze decido di tornare a prelevare, mangiare qualcosa e fermare la stanza per altri tre giorni e capire se per me è possibile esplorare i dintorni senza perdermi. Ma il mio corpo reagisce ancora agli orari italiani e, quando vado in cerca di un posto dove mangiare, trovo tutto chiuso tranne una paninoteca e un ristoro dove servono solo zuppe. Non avendo ancora lo stomaco a posto per provare nuovi gusti e nuove pietanze, mi compro un panino farcito.

Mi rendo conto che orientarsi è difficile, non ci sono vie e numeri civici e non ho idea di dove andare, perciò rassegnata faccio rientro alla mia stanza.

MINIMARKET E KOREAN FOOD

Al quarto giorno scopro di fronte all’hotel un mini market e vi entro: è come varcare la soglia della casa delle bambole, mi sembra quasi di realizzare il sogno che avevo da bambina, mi aggiro fra i pochi scaffali colmi di snack salati e dolci, c’è anche un piccolo banco frigo a muro. Decido di prendere delle patatine, latte al caramello con la bottiglia a forma di orso e dei cracker che consumo tra pranzo e cena.

credit foto hoseky73

Il giorno dopo il ragazzo del mini market diventa il mio migliore amico; gli chiedo di poter mangiare qualcosa di caldo e lui mi mostra riso istantaneo di vari gusti e gli immancabili noodle: sono indecisa, so che il mio stomaco non sopporterebbe sapori troppo forti e gli chiedo qualcosa che non sia troppo piccante.

Imparo così un’altra lezione: non credere mai a un coreano che ti assicura che è poco piccante.

In molti minimarket in Corea puoi consumare al suo interno quello che prendi, ci sono tavoli con panche, un bollitore di acqua calda e forno a microonde a disposizione del cliente; Il commesso gentilmente mi aiuta a preparare il mio riso istantaneo, mi siedo e felice mi porto in bocca la prima cucchiaiata… Bene, è leggermente piccante ma posso mangiarlo. Metto in bocca il secondo e inizio a sentire caldo, al terzo mi lacrimano gli occhi. Il commesso si affaccia dagli scaffali sorridente e mi chiede se va tutto bene e se è buono. Io non riesco a rispondere, ho la gola in fiamme. Secondo voi lo finisco? No, con tutta la buona volontà non ci riesco. Al mio amico dico che mi ha preso in giro perché è molto piccante e che non gli crederò mai più. Lui scoppia a ridere, io con lui, facciamo pace.

credit foto envato

Nei pochi dintorni che ho osservato del luogo, oltre alla gente che ti conquista sempre e ti fa sentire a tuo agio e a casa, la Corea è il posto più organizzato e pulito che io abbia mai visto, non c’è angolo di strada o di ambienti in cui vedi cose fuori posto, sporcizia ecc. Tutti lavorano in modo efficiente e ben coordinato; il caos che spesso trovi in Italia lì non c’è. Se si presenta un problema, si adoperano immediatamente per risolverlo al meglio e con discrezione senza portare l’avventore a sentirsi a disagio. Sono rimasta in Corea in totale sei giorni, ho deciso mio malgrado di anticipare il rientro: la mia inesperienza, il fatto di non avere confidenza della moneta, l’essere sola mi hanno portata a decidere di abbreviare il viaggio. Ma una cosa è certa: quando l’aereo si è sollevato in direzione Italia, dentro di me insieme all’altezza si è elevato il desiderio e una promessa fatta al cielo coreano di tornare più organizzata e con più informazioni e più conoscenza di questo meraviglioso paese. Nel momento stesso in cui entri in Corea te ne innamori e l’unica cosa che vuoi è potervi fare ritorno.

@hoseky73 all right

Credit: foto copertina canva /foto articolo @hoseky73