Se pensiamo alle due parole “calcio” e “Corea”, non possiamo dimenticare il famigerato mondiale del 2002, che ha visto l’Italia uscire dalla competizione proprio per mano dei sud coreani, dopo il gol di Ahn nei tempi supplementari. Una partita che ancora adesso suscita un po’ di rabbia a causa di un arbitraggio molto dubbioso.
Il calcio non è stato uno degli sport principali praticati in Corea, quello più celebre, sappiamo tutti, è il taekwondo, dichiarato sport nazionale negli anni 70. Solo negli ultimi 20 anni il calcio ha spopolato sempre di più in Corea diventando, ai giorni nostri, il secondo sport più seguito, insieme al baseball. Dall’avere 5 squadre negli anni ’80 è arrivato oggi ad averne 12 nella massima divisione la K League 1 (nel 2011 furono 16).
Divisa per numeri, la K League rappresenta la lega calcistica più competitiva d’Asia, per questo anche l’occidente inizia a interessarsi a diversi giocatori coreani: basti pensare al fuoriclasse Son, che milita nel Tottenham e il neo acquisto del Napoli, il difensore Kim Min Jae.
La crescente popolarità del calcio in Corea mi ha permesso di fare un’esperienza di lavoro in questo Paese. Qualche anno fa, tramite un mio ex collega universitario, sono venuto a sapere che un ragazzo coreano cercava allenatori e assistenti per la sua accademia di “calcio inglese”. Si trattava di un progetto molto interessante, che univa lo sport con l’insegnamento della lingua inglese.
Io non vantavo nessuna esperienza come allenatore di calcio, nonostante da sempre segua questo sport. Mi sembrava qualcosa di “troppo grande” per me, ma grazie ai miei studi universitari di lingue orientali alla Sapienza di Roma, studiando la lingua e cultura coreana, ero il candidato perfetto per fare da assistente a un allenatore spagnolo, già in Corea.
Quindi decisi di mettermi in gioco. Ci fu un colloquio online conoscitivo, tra me e il CEO coreano e terminata la chiamata, dopo qualche giorno, il capo esecutivo mi scrisse chiedendomi se fossi potuto partire nel giro di due settimane.
Fu tutto così improvviso e veloce, che mi ritrovai spiazzato e incredulo. Ci pensai un pochino e capii che era l’occasione ideale per poter finalmente scoprire dal vivo quel fantastico mondo dell’estremo oriente che avevo studiato e sempre sognato di visitare.
Con un po’ di agitazione mista a felicità preparai le valigie e feci il grande passo: destinazione Corea del Sud!
Appena arrivato, fu amore a prima vista. Essere circondato da ragazzi con gli occhi a mandorla, mi riempiva di gioia. Non saprei spiegare il motivo, ma la Corea mi ha sempre trasmesso una sensazione di benessere interiore che nessun altro posto è riuscito a darmi.
Mi bastarono un paio di giorni per ambientarmi ed essere subito operativo.
Il progetto, proposto nelle scuole pubbliche, vedeva la nostra figura, mia e dei miei ex colleghi, come insegnanti di educazione fisica specializzati nel calcio.
La nostra schedula quotidiana era formata da allenamenti in diverse scuole, passando dai dolcissimi bambini dei kindergarden, gli asili coreani, dove l’attività era più che altro ludica per farli divertire e creare più unione tra i bambini, fino a una scuola liceale sportiva, con ragazzi molto in gamba, che ci mettevano l’anima negli allenamenti più intensivi e propedeutici al calcio.
Queste lezioni calcistiche extra scolastiche, erano rivolte soprattutto alle scuole di periferia. Proprio per rendere unico il nostro progetto e non avere concorrenza, andavamo nelle scuole più lontano dalle metropoli, vicino alle zone rurali. Ricordo molto bene, uno dei miei primi giorni di lavoro, in una scuola elementare, diversi insegnanti e inservienti guardarono me e il mio collega, come fossimo alieni. Chiesi spiegazione al mio capo e mi disse che non erano abituati a vedere occidentali.
La giornata lavorativa era composta in questo modo: si partiva la mattina, verso una delle scuole designate dove si avevano 2 o 3 classi differenti alle quali si facevano lezioni di un’ora ciascuna.
Il pranzo era condiviso nelle bellissime e comode mense della struttura e, nel pomeriggio, ci si spostava in una seconda scuola per altrettante lezioni.
Rimasi impressionato nel notare che quasi tutte le scuole pubbliche in Corea sono delle strutture molto curate, con campi di calcio in erba sintetica, perfette per iniziare i ragazzi ad avere il contatto col pallone, e hanno moltissimi spazi aperti. Una particolarità, che è alla base degli usi e costumi orientali, è l’inchino iniziale e finale, verso l’insegnante, come forma di rispetto. Non vi era lezione che non avesse l’inchino da parte degli studenti, prima di cominciare e di finire la sessione di allenamento.
Tra un tiro al pallone e l’altro, avevamo il compito di insegnare ai ragazzi la lingua inglese, ruolo che mi ha arricchito tantissimo per la doppia valenza della mia presenza in Corea.
Questa mia esperienza è durata quasi un anno e mezzo. I primi 3 mesi ho lavorato come semplice assistente, poi, anche su suggerimento del mio capo, sono andato nel Regno Unito a prendere il patentino base da allenatore di calcio e ho fatto ritorno in Corea restando ancora un anno.
Ogni tanto mi chiedo come stiano i ragazzi che ho allenato. E’ passato tanto tempo, chissà se giocano ancora a calcio o meno…
Questo lungo periodo mi ha permesso, da una parte, di instaurare con i bambini delle scuole elementari e kindergarden, un rapporto di affetto e protezione, invece con i ragazzi delle scuole medie e il liceo, di ottenere le soddisfazioni più grandi a livello sportivo, tale da vedere questo progetto ingrandirsi sempre di più fino a coinvolgere anche l’ex giocatore italiano e dirigente del Venezia F.C., Paolo Poggi, con il quale organizzammo un summer camp, per i ragazzi della città di Changwon nel sud est della Corea e dell’isola di Jeju. Un’occasione unica per far conoscere ancora di più il calcio italiano ai ragazzi coreani.
E’ stata una bellissima avventura, ricca di emozioni che mi hanno dato modo di scoprire il calcio in un Paese lontanissimo dal nostro e anche molto diverso, dove sogno di ritornare presto.
Massimo Gaz
Credit: foto di copertina envato premium